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Mesagne. Si è cercato di sovvertire un ceto politico brillante
21/10/2006 - 11:15:00 - a cura di Vincenzo Montanaro - Consigliere regionale Ds
La Storia, anche quella più comune o meno rappresentativa, vive dei cicli che si ripropongono, spesso con implacabile puntualità, come ritornelli icastici e quindi educativi. L’annosa questione culturale – nel senso della cultura politica – del garantismo rimane sul tappeto delle problematiche inevase non soltanto a livello nazionale ma anche nella nostra periferia pugliese. Si è chiuso in questi giorni il processo che vedeva coinvolto l’Architetto Capo del Comune di Mesagne Savino Martucci ed altri tra tecnici, imprenditori e professionisti del luogo. Ad essere precisi, il processo si è chiuso su richiesta della stessa pubblica accusa – accolta poi con una sentenza dal collegio giudicante - perché il fatto non sussisteva. Mentre ci rallegriamo per aver avuto serena fiducia nel conseguimento della giustizia, avvertiamo l’impegno morale di ritornare col pensiero ai giorni in cui aveva inizio questa circostanza, per valutare compiutamente quali erano le condizioni in cui si operava per l’accertamento della verità. Il quadro appare desolante: alcuni giornali riportavano quotidianamente stralci di intercettazioni telefoniche viziate da commenti pregiudizievoli; i professionisti della maldicenza soffiavano i veleni prediletti nei crocicchi o li affiggevano con manifesti impudici; il locale centrosinistra si spaccava sulla richiesta morbosa di costituirsi parte civile avanzata dall’ipersinistra di lotta e di governo, la quale mostrava di voler usare l’istituto giuridico a mo’ di mannaia giustizialista; le destre di Mesagne e dintorni manifestavano per lo più sguaiata eccitazione, alimentando le pulsioni forcaiole di una parte (minoritaria) della società; e, per finire, gli imputati dovevano subire l’onta di vedere la Regione Puglia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri provare senza esito a costituirsi parte civile nel processo, caso pressoché inedito fino ad allora, ma che testimoniava una volontà politica chiaramente persecutoria. Di fatto, Martucci e gli altri furono già processati e condannati in quei giorni, cioè ben prima del fisiologico svolgimento processuale che oggi è evaporato come futile bolla di sapone, addirittura in mancanza dei presupposti del reato(!); non è peregrino ritenere che essi abbiano subito un’aggressione multilaterale, per certi aspetti preordinata e probabilmente coordinata da biechi detrattori politici: perché colpendo costoro si mirava con tutta evidenza a sovvertire un ceto politico brillante e vincente che aveva così ben governato la Città di Mesagne da sembrare invincibile. Quando, negli scorsi mesi estivi, un ben più vistoso groviglio giudiziario coinvolge l’ex Presidente della Regione Puglia Raffaele Fitto, indagato per aver intascato la somma di cinquecentomila (500.000) euro come tangente per appalti milionari, nessuna voce dal centrosinistra si è levata contro di lui o in commento di fatti e cifre che pure appaiono singolari; e non è stata una questione di opportunità, ma di coerenza tra teoria e prassi del credo garantista, differente, questa sì, dai compiacimenti isterici di alti dirigenti politici delle destre che in altre occasioni indulgono in penosi piagnistei. A tutto ciò è seguito un dibattito nazionale, greve per alcuni versi, illuminante per altri, che ha toccato tra le altre, la questione della privacy dei politici, dell’uso o dell’abuso delle intercettazioni telefoniche, del finanziamento ai partiti, della libertà e della qualità di stampa. A bocce ferme è comunque opportuno che la classe dirigente regionale, dismessa l’ipocrisia o il fair play, chiosi questi episodi ai margini degli atti, per aiutare i processi di tonificazione dell’etica pubblica e misurarsi infine con il modello ideale che prefigura l’Amministratore come educatore civile. I commentatori che si sono sottratti alla sterilità delle polemiche di fazione hanno provato ad impostare il discorso sull’antinomìa garantismo-giustizialismo, riducendo però portata e valore dei principii in gioco. La concezione giuridico-politica del garantismo è invece positiva piuttosto che antitetica, nel senso che pone garanzie formali e quindi struttura un sistema di protezione delle libertà del cittadino dagli arbìtri o dagli abusi del potere; non dunque premesse etiche, non manifestazioni d’intenti, non proclami estemporanei o contingenti. Per il ruolo pubblico a cui assolviamo con passione, rigettiamo intanto le gogne mediatiche come gli eccessi, siano questi commessi dalla politica o dalla magistratura: semplicemente aspettiamo, confidando nella giustizia e lavorando perché il sistema delle garanzie costituzionali sia tutelato o rafforzato. Pretendiamo altresì un analogo atteggiamento dai nostri competitors, almeno in termini di civiltà del confronto politico e di qualità del rapporto umano.
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